Un movimento più forte della pandemia

Un’immagine dell’azione di protesta organizzata in Piazza del Sole a Bellinzona.

Lo scorso venerdì, in tutta la Svizzera, le giovani e i giovani per il clima si sono fatti sentire attraverso azioni di protesta simboliche, campagne in rete e dirette radio. Il messaggio che hanno mandato è chiaro: la crisi provocata dal coronavirus non fermerà la loro azione.

In Ticino il movimento non è rimasto a guardare e ha organizzato una lunga diretta radiofonica e un’azione di protesta simbolica a Bellinzona. L’hanno chiamata Radio Futuro e ha tenuto compagnia a migliaia di persone dalle 9 alle 21 con discussioni, dibattiti e musica.  Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia Ticino, è intervenuto nel pomeriggio sul rapporto tra ambiente e lavoro. Si è parlato anche della pandemia, di ecofemminismo, di movimenti ambientalisti nel mondo e si è discusso attorno ai temi dell’economia e della sostenibilità. La diretta radiofonica è stata anche l’occasione per presentare e discutere le rivendicazioni dei giovani attivisti (cfr. www.radiofuturo.ch). Nell’intervista qui sotto le impressioni di due giovani attivisti ticinesi del movimento.

Dalia Elshater, come giudica l’esperienza del 15 maggio?

Purtroppo, per ovvie ragioni, non siamo riusciti a scendere nelle strade, ma la giornata è stata assolutamente positiva. La diretta radio di 12 ore ha sopperito, almeno in parte, al divieto di assembramento: abbiamo avuto un buon seguito, ottimi riscontri e siamo persino riusciti a interagire con il pubblico che ci scriveva in diretta. Abbiamo trattato i temi principali che ruotano attorno alla crisi climatica con personalità importanti e abbiamo avanzato rivendicazioni.

Siro Pedrozzi, la crisi economica che stiamo vivendo non potrebbe scoraggiare politiche ambientali coraggiose?

Questa è una delle possibilità. Compito del movimento è proprio quello di ricordare che la crisi sanitaria non è scollegata rispetto a quella ambientale. C’è anche un altro aspetto da considerare: i governi per far fronte alla crisi dovranno spendere molto; questo denaro potrebbe essere utilizzato per riconvertire le attività produttive in senso ecologico. Nel caso del salvataggio di Swiss questo non è avvenuto: gli aiuti pubblici non sono stati legati ad alcun vincolo ambientale.

Quali sono i legami tra il movimento per il clima e quello femminista?

DE: Innanzitutto, il movimento al suo interno è basato su una forte uguaglianza di genere. Tra le nostre rivendicazioni c’è poi quella del sostegno al movimento femminista. Il movimento è infatti convinto che sono i gruppi sociali più svantaggiati a pagare il prezzo maggiore della crisi climatica, tra questi ci sono anche le donne. Una politica ecologista non è tale quindi senza l’eliminazione della discriminazione tra uomo e donna.

Come giudica l’adesione dei sindacati al vostro movimento?

SP: L’unione fa la forza, quindi questa adesione, insieme a quella di organizzazioni di altro tipo, è sicuramente positiva. Inoltre, non è possibile pensare a una transizione ecologica, quindi a profondi cambiamenti nel modo di lavorare, senza coinvolgere i rappresentanti dei lavoratori e, ovviamente, i lavoratori stessi. Direi che il ruolo dei sindacati è in questo senso centrale.

Cosa significa per lei giustizia climatica?

DE: Qui ritorniamo su quanto detto prima rispetto al femminismo: la politica ecologica non è tale se non è accompagnata da criteri di giustizia sociale. Questo riguarda le donne, i lavoratori, ma anche il rapporto tra nord e sud del mondo: i paesi in via di sviluppo sono quelli che pagano il prezzo più alto della crisi climatica, mentre quelli più ricchi sono i maggiori responsabili. Il concetto di giustizia climatica è anche generazionale: dobbiamo preservare la natura, la nostra terra, anche per le generazioni future.

Riuscite a interagire con le altre regioni linguistiche?

SP: La lingua è in parte un ostacolo. A volte anche le distanze sono un problema. A causa della pandemia abbiamo però iniziato a interagire meglio grazie alle nuove piattaforme digitali tipo Zoom.

E con i movimenti di altre nazioni?

DE: Abbiamo contatti con il movimento italiano e con altri movimenti europei. La rete ambientalista è molto ben connessa e non fatichiamo a raggiungere attivisti di altre parti del mondo. Durante la diretta radio abbiamo sentito testimonianze dalla Spagna, dal Libano, dalla Turchia e da altri paesi. Le situazioni che gli attivisti vivono nel mondo sono molto differenti, ma abbiamo anche un forte sentire comune.

Qual è il programma del vostro movimento nel prossimo futuro?

SP: Purtroppo, non è ancora possibile fissare la data dello «sciopero per il futuro» perché il virus non è stato ancora sconfitto. Dobbiamo quindi tenere duro, restare connessi, fare pressioni con altri mezzi e formarci ulteriormente per aumentare le nostre conoscenze. Continueremo a rimanere attivi in rete e in futuro non escludiamo di ripetere, in altre forme, l’esperienza di Radiofuturo.