Lavoro senza paga

Un elemento ancora attuale nella società contemporanea: la poca considerazione del lavoro domestico e di cura (foto: corteo del Primo Maggio 2019 a Zurigo)

Il ruolo della casalinga è sempre stato idealizzato dalla cultura di massa

Nella Svizzera tedesca un gruppo di studiose ha lanciato da poco la piattaforma economie feministe, nata per analizzare i rapporti tra economia e dinamiche di genere. Dare visibilità e restituire valore al lavoro non retribuito è una delle priorità del gruppo.

In occasione del cinquantesimo anniversario del diritto di voto delle donne svizzere, il Museo nazionale di Zurigo ha inaugurato la mostra «Donne.Diritti. Dal secolo dei Lumi ai giorni nostri».

Tra i numerosi cimeli esposti, tracce della storia del vitale femminismo elvetico, uno ha attirato in particolare la nostra attenzione, ovvero un piccolo volantino del Movimento donne Ticino, risalente alla seconda metà degli anni Settanta, intitolato Siamo tutte casalinghe. Si tratta di una trovata delle attiviste della Svizzera italiana, soltanto all’apparenza irriverente a causa della monetizzazione del rapporto sessuale, che mette in rilievo un elemento ancora attuale nella società contemporanea: la poca considerazione del lavoro domestico e di cura – svolto per lo più dalle donne senza alcuna forma di retribuzione – in ambito economico, sociale e politico.

Un salario per le casalinghe

L’idea di rivendicare una retribuzione del lavoro domestico e di cura in epoca moderna si fa strada all’interno di una parte del movimento femminista occidentale all’inizio degli anni Settanta. Sono stati due i testi fondamentali, pubblicati in italiano in un unico libro nel 1972, a dare l’avvio a un dibattito internazionale che dura ancora oggi: Donne e sovversione sociale della sociologa Mariarosa Della Costa e la traduzione italiana di «A Woman’s place» / «Il posto della donna», della leader femminista statunitense Selma James.

Nel secondo dei due testi, pubblicato originariamente nel 1952 sulle colonne di una rivista destinata alle classi subalterne statunitensi, Selma James, per un periodo della sua vita madre e casalinga a tempo pieno, definisce il lavoro domestico e di cura come uno strumento fondamentale per contenere i costi della riproduzione e del mantenimento della forza-lavoro. In questo modo, come ha scritto Marianna Sica in un articolo apparso sulla rivista online Svolta, James ridefinisce il ruolo della famiglia come «centro di produzione sociale nel regime capitalista».

Le due autrici diventeranno protagoniste della campagna internazionale per il salario destinato al lavoro domestico (International Wages for Housework Campaign). Per la rete femminista che sosterrà questa campagna non era soltanto il lavoro di cura a dover essere retribuito, ma tutto il lavoro svolto all’interno delle mura domestiche, lavoro sessuale e riproduttivo incluso (come indicato del resto nel volantino). Per raggiungere questo scopo, la rete femminista pensò addirittura a uno sciopero mondiale di tutte le casalinghe, ma in pochi anni il tema sparì dall’agenda politica.

Fuori dalle mura domestiche

Per molte femministe, l’unica strada per l’emancipazione delle donne era ed è quella del lavoro retribuito. La percentuale di donne attive in settori remunerati si è in effetti alzata di molto in questi ultimi anni. In Svizzera, è passata dal 34% del 1970 all’80% del 2019. La questione del lavoro non retribuito è però tutt’altro che risolta ed è tornata in parte alla ribalta grazie anche allo sciopero delle donne del 2019.

Le statistiche federali, che dal 1997 prendono in considerazione anche il lavoro non retribuito, dicono infatti che le donne in Svizzera lavorano in media praticamente tanto quanto gli uomini, ma guadagnano molto meno. Secondo l’ufficio di statistica europeo, che compara la situazione nei diversi paesi del vecchio continente, la differenza è pari al 44,5% (Gender Overall Earning Gap, 2014).

Perché questo enorme scarto? Lo abbiamo chiesto ad Anja Peter, storica e responsabile della piattaforma economie feministe, che afferma: «Oltre a essere discriminate in termini salariali, le donne sono attive in settori a basso salario come quello delle cure e dell’assistenza alla persona e, non da ultimo, svolgono buona parte del lavoro non retribuito in ambito domestico. Questo si traduce in una perdita di guadagno annua superiore ai 100 miliardi di franchi, di cui l’80% riconducibile al maggiore lavoro non retribuito svolto rispetto agli uomini».

Mascha Madörin, una delle figure di spicco dell’economia femminista e attenta lettrice delle statistiche federali, stima che nel 2016 il costo del lavoro non retribuito delle donne abbia raggiunto la cifra di 248 miliardi di franchi. Una cifra che supera di gran lunga quella prodotta dal settore finanziario.

Anche in termini di tempo, la quantità di lavoro non retribuito delle donne è impressionante: oltre 1 miliardo di ore in un anno nella sola cura dei figli, ovvero quasi il doppio delle ore lavorate sui cantieri in Svizzera. Per Anja Peter, «questi numeri dimostrano che il lavoro non retribuito non è ancora considerato come dovrebbe. Non abbiamo tesi precostituite come gruppo, ma crediamo non sia sufficiente soltanto una suddivisione equa tra uomini e donne del lavoro non retribuito. Occorre valorizzare, sostenere e ricompensare in qualche modo questi sforzi necessari alla sopravvivenza della nostra società».

Il tempo è denaro

Se dal livello macroeconomico scendiamo a quello dell’unità familiare i numeri non cessano di essere sorprendenti. Si calcola, ad esempio, che una famiglia con due bambini svolga in media 7000 franchi di lavoro non retribuito ogni mese, una cifra che supera, anche se di poco, il salario mediano svizzero. La maggior parte di questo lavoro, come già ricordato, è svolto dalle donne.

Per renderle coscienti di questi numeri, anche su piccola scala, le attiviste di economie feministe chiedono che il Consiglio federale istituisca un calcolatore salariale per il lavoro non retribuito: «Questo calcolatore renderebbe le prestazioni individuali misurabili in termini di tempo e denaro. L'Ufficio federale di statistica raccoglie già molti dati sul lavoro non retribuito. Di conseguenza, non dovrebbe essere un problema sviluppare un tale strumento. Si tratterebbe di un primo passo importante per rendere visibili le attività domestiche non remunerate e portarle al centro del dibattito sociopolitico», afferma Peter.

Un tale calcolatore esiste già in Germania. Si tratta di un’applicazione ideata da alcune attiviste, con cui è possibile sapere quanto lavoro non retribuito si è svolto durante la giornata. L’applicazione, disponibile gratuitamente, permette non solo di calcolare la mole di lavoro, ma anche di scegliere il criterio di calcolo preferito.

Femminismo sindacale

Il tema del lavoro non retribuito non è estraneo alla sfera sindacale. Per Aude Spang, responsabile delle donne Unia, «anche per il femminismo sindacale il privato è politico. Il lavoro delle economiste femministe è fondamentale perché restituisce visibilità al lavoro non retribuito. Per il movimento sindacale e quello dello sciopero delle donne la strada maestra da seguire è quella della riduzione universale del tempo di lavoro a parità di salario. È importante che il mondo professionale si apra ancora di più alle donne. Occorre anche valorizzare le cosiddette professioni femminili, aumentando i salari, e agire al più presto per eliminare la discriminazione salariale».

Ci sono poi anche altri modi per riconoscere il lavoro non retribuito: «Il primo pilastro svizzero, che intendiamo implementare con la nostra iniziativa per l’introduzione di una tredicesima AVS, riconosce il lavoro educativo ed assistenziale ai fini del calcolo pensionistico. Il rafforzamento dei congedi di maternità, di paternità e parentali vanno anche in questa direzione. Per alleggerire il peso del lavoro non retribuito è infine necessario rafforzare le strutture di custodia dell’infanzia. È ormai tempo infatti di renderle davvero accessibili e di considerarle un bene pubblico di base».