«Questo accordo non è un regalo»

La vedova Gjyzide Gavazaj ha vissuto per anni grazie all'aiuto sociale kosovaro e al supporto dei figli

Ali Aliu con il figlio durante la Festa del lavoro a Pristina

Dopo anni di pressioni sindacali, Svizzera e Kosovo hanno finalmente firmato un accordo che permetterà ai lavoratori kosovari di godere della pensione anche in patria.

Kloten, 28 aprile 2019. Ci troviamo su uno dei tanti voli che collegano settimanalmente Zurigo con la capitale kosovara di Pristina. La tratta è utilizzata quasi esclusivamente dalle famiglie kosovare emigrate in Svizzera o da giovani cittadini svizzeri con origini kosovare in viaggio verso un paese che, forse, non conoscono ancora bene. In questo spazio ibrido, dove lo svizzero tedesco e l’italiano si mescolano con l’albanese, cominciamo a rivolgere delle domande sul nuovo accordo pensionistico: una coppia di pensionati residente in Ticino da una vita, che non ha mai pensato di tornare in patria, non è informata sul tema, ma è felice per i propri connazionali; Dijamant Teneqëja, sulla cinquantina, è invece aggiornato: «Per la mia generazione è importante avere la possibilità di ritornare in Kosovo dopo una vita di lavoro in Svizzera». L’intesa raggiunta mette fine in effetti ad anni di discriminazione nei confronti della diaspora kosovara, ma i problemi e le incertezze rimangono per chi è stato danneggiato dall’assenza di un accordo a partire dal 2010.

Figli senza padri

Durante il nostro viaggio in Kosovo abbiamo incontrato alcune persone coinvolte nel mancato versamento della pensione da parte della Svizzera. Tutte le testimonianze che abbiamo raccolto ci raccontano storie di padri che, per lavoro, sono rimasti per decenni lontani da casa con la speranza di potersi godere la famiglia, ovvero i figli cresciuti e i nipoti, a pensione raggiunta. Purtroppo, questo non è avvenuto. Edison Dervodeli, ultimo figlio di Muharem, un giardiniere che ha lavorato per più di venti anni in Svizzera, ci racconta: «Mio padre nel 2012 ha avuto un ictus e a me, allora avevo 15 anni, è stata rifiutata la richiesta di ricongiungimento perché in Svizzera mi consideravano già capace di sostenermi da solo».  Persino nel momento in cui il padre ha scoperto di avere un tumore, nel 2016, aggiunge Edison, «ho faticato molto per ottenere un visto di quattro settimane». Il padre se ne è andato per sempre nel 2017. Durante il suo racconto, Edison ci mostra alcune lettere, che non hanno mai trovato risposta, indirizzate all’ufficio migrazione del Cantone di Basilea-Campagna per tentare di convincere le autorità a concedergli il trasferimento. Arife, la madre di Edison, trasferitasi in Svizzera per rimanere vicina al marito, rimasta vedova e senza contatti sociali, ha deciso di tornare in Kosovo e, così, come se non bastasse, si è vista togliere la pensione di vecchiaia a partire dal 2018. Ora questo capitolo è però chiuso e finalmente, conclude il giovane kosovaro, «posso essere felice perché so che mia madre a breve sarà indipendente e potrò almeno pensare che mio padre non è stato lontano da me invano».

Il muratore Ali  

Anche Ali Aliu è stato lontano dai figli dal 1984 fino al 2012, per lavorare in Lichtenstein e in Svizzera nell’edilizia. Lo incontriamo durante le celebrazioni del Primo maggio insieme a uno dei suoi sei figli, studente di economia all’Università di Pristina. Il suo tedesco, non perfetto ma comprensibile, è intercalato qua e là da alcune parole in italiano. La sua storia è particolare: come edile ha goduto della pensione anticipata a partire dai 60 anni, nel 2012, perché ha continuato a risiedere in Svizzera. Una volta terminato il periodo di pensionamento anticipato, Ali ha cominciato a percepire, come tutti, la pensione Avs. Un consiglio sbagliato lo ha portato a trasferire la residenza in Kosovo nel 2017, perdendo così il diritto alla pensione: «Mi ero informato presso il mio comune di residenza e mi avevano assicurato che avrei ricevuto la pensione anche in Kosovo». Ora che le cose sono risolte è raggiante, ma spera comunque di poter ottenere i due anni di pensione arretrata che gli spettano.

La rabbia

La storia più incredibile è quella della vedova Gjyzide Gavazaj che, a causa del mancato versamento della pensione svizzera del marito, ha vissuto per quasi dieci anni con un aiuto sociale di 85 euro. Prima di fare visita alla donna, incontriamo uno dei figli, Neshat Gavazaj in un ristorante al confine con l’Albania. Ci aspetta al tavolo con una mole enorme di documenti che ha portato come prova degli anni trascorsi in Svizzera dal padre. Per questa storia, Neshat non si dà pace: «Non capisco cosa abbiamo fatto di male, la pensione mio padre se l’è guadagnata e mia madre, che lo ha aspettato per trenta anni, ha vissuto per anni in povertà. Questo accordo non è un regalo ma un diritto». La loro situazione è particolarmente drammatica: «Abbiamo utilizzato il capitale del secondo pilastro per ricostruire la casa distrutta durante la guerra e facevamo affidamento sulla rendita». Ora la madre è molto anziana e di salute cagionevole e c’è il rischio che non riesca nemmeno a raccogliere i frutti dell’avvenuta intesa: «Non possiamo nemmeno ritirare il capitale perché si è quasi del tutto esaurito. Mio padre, infatti, è rimasto qualche anno in vita dopo aver raggiunto la pensione». Per questa e molte altre famiglie è importante risolvere la questione degli arretrati e per questo motivo Unia continuerà a fare pressione.