Femminismo e solidarietà

Le donne in fuga per motivi di discriminazione vanno incontro spesso a violenze.

Sono molti i fronti aperti nell’ambito della politica migratoria svizzera ed europea. Il diritto all’asilo è ovviamente uno di questi.

Negli ultimi anni è diventato chiaro a tutti che tra le ragioni di fuga da molti paesi in via di sviluppo, ci sono spesso anche motivi legati alla discriminazione o addirittura alla violenza di genere. Le violenze sessuali e sessiste, spesso anche in ambito domestico, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, le situazioni di schiavitù, le limitazioni delle libertà fondamentali, addirittura il rischio di morte, previsto da alcune legislazioni, o di pene detentive sono tra le cause che spingono numerose donne e persone di orientamento Lgbtiqa+ a fuggire dal proprio paese per cercare rifugio in Europa.

La petizione femminista europea (feministasylum.org), appena lanciata in Svizzera e in buona parte dei paesi europei, appoggiata anche dal sindacato Unia, intende fare pressione sulle autorità e sensibilizzare la popolazione rispetto al tema. 

La legge svizzera

Non è semplice quantificare il fenomeno perché spesso le vittime di discriminazione di genere sono fortemente traumatizzate e faticano a verbalizzare la propria esperienza. Secondo Marianne Ebel, presidente della sezione svizzera della rete internazionale femminista Marcia mondiale delle donne, «è raro parlare di sessualità ed è sempre difficile per qualcuno che ha subito violenza a causa del suo orientamento sessuale parlarne».

Inoltre, in Svizzera, non esistono statistiche ufficiali relative ai motivi di persecuzione. Tuttavia, secondo quanto afferma Lukas Rieder, portavoce della Segreteria di Stato per la Migrazione (Sem), «il 10,3% di tutte le decisioni prese in materia d’asilo nel 2020 conteneva un motivo di persecuzione legato al genere».

La discriminazione di genere non è stata inserita nella Convenzione di Ginevra del 1951, il testo di riferimento per le politiche d’asilo, come motivo di persecuzione. Anche nella Legge sull’asilo svizzera è assente. Tuttavia, sempre secondo Rieder, «il Sem ha sviluppato negli anni delle pratiche che permettono di condurre al riconoscimento dello status di rifugiato per persone che hanno subito discriminazioni di genere».

Esistono anche casi particolare in cui il Tribunale federale o la Commissione svizzera di ricorso in materia d’asilo si sono espressi in materia di discriminazioni di genere in rapporto alle richieste d’asilo. Le autorità svizzere (ed europee) sono quindi a conoscenza del problema e hanno cominciato ad affrontarlo in maniera sistematica, tuttavia molto resta ancora da fare.

Problemi aperti

Uno dei problemi più gravi che riguarda la protezione dei soggetti più fragili è, secondo Marianne Ebel, relativo alle rotte migratorie: «Da quando non è più possibile depositare la domanda d’asilo nelle ambasciate, partire per l’esilio è diventato pericoloso per tutti. Le donne, le bambine e le persone Lgbtiqa+ sono particolarmente esposte: sono picchiate, maltrattate, violentate, a volte persino sequestrate per settimane. Qualche tempo fa, mi sono presa cura di una giovane donna etiope che era stata violentata durante la notte in una stazione di polizia di Addis Abeba. Non poteva dirlo alla sua famiglia, si vergognava. Ha deciso di fuggire. Prima di arrivare in Svizzera, dove per il momento non le è ancora stato concesso l'asilo, è stata tenuta prigioniera in Francia per tre settimane da uno dei trafficanti che avrebbe dovuto portarla in un luogo sicuro: è stata picchiata, violentata e nutrita a malapena».

Secondo Ebel, i problemi non si limitano soltanto alla rotta migratoria: «Se si ascolta il Sem, non c'è nessun problema, tutto funziona perfettamente. Ma nella realtà osserviamo che questo è totalmente falso, molte donne vivono nella paura e nonostante tutti gli orrori che hanno vissuto, raramente viene loro concesso l'asilo. Quando vengono in Svizzera per cercare rifugio e ricostruire le proprie vite, spesso si trovano in situazioni di stress e paura per molti mesi». Tutto questo in contraddizione con la Convenzione di Istanbul, che riconosce la violenza nei confronti delle donne basate sul genere come una forma di persecuzione.

Per Natalia Cuajy Sarrias, dell’associazione ginevrina Asile Lgbtiq+, «esiste anche un problema di consapevolezza in seno alle autorità e al personale che si occupa di procedure di asilo e accoglienza. Un esempio tra tanti: a volte la persecuzione è considerata non attendibile, magari soltanto perché la persona non si comporta secondo gli stereotipi di genere di fronte all’intervistato». Un problema, quello della sensibilizzazione degli addetti ai lavori, che è stato sottolineato più volte anche da Amnesty International.

Discriminazione e tratta

Una volta arrivate in Europa, le donne e le persone Lgbtiq+, secondo quanto denunciano alcune delle associazioni che sostengono la petizione femminista europea, sono quindi confrontate con procedure di asilo inadeguate e spesso con un’accoglienza indegna. Molte di queste persone, estremamente ricattabili e fragili, diventano vittime del fenomeno della tratta in paesi extraeuropei o nella stessa Europa. Tra le testimonianze dirette e indirette che abbiamo raccolto sembra un fenomeno piuttosto diffuso. Questo non fa che aggravare i traumi delle persone coinvolte, ma per l’autorità risultare vittima di tratta non è rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

Per questo il sindacato Unia, stando alle parole della segretaria per la migrazione Marie Saulnier Bloch che si occupa del tema della tratta, chiede «misure concrete e specifiche per l'individuazione proattiva delle vittime della tratta, informazioni in una lingua comprensibile e protezione adeguata. In particolare, è necessario garantire un tempo sufficiente per raccogliere le informazioni necessarie e tener conto del trauma vissuto da queste persone e della formazione del personale coinvolto. Inoltre, come sindacato chiediamo la fine immediata dell'applicazione dell'accordo di Dublino per le potenziali vittime della tratta».