Lo sfruttamento invisibile

Formazione e scambio di competenze sono importanti per combattere la tratta e il lavoro forzato

Il termine «tratta di esseri umani» ci riporta subito alla mente immagini di giovani donne fragili costrette con la forza a prostituirsi. Il fenomeno esiste ed è drammaticamente diffuso, ma non è l’unico che ha a che fare con la schiavitù moderna. La tratta di esseri umani può anche riguardare lo sfruttamento della manodopera. Intervista con Marie Saulnier Bloch (Unia)

La «tratta di esseri umani» è un concetto molto ampio che include diverse forme di sfruttamento e può riguardare anche i minorenni. Secondo il Codice penale svizzero (art. 182), le seguenti attività rientrano a pieno titolo nel reato di tratta: assumere, procurare, offrire, ospitare o accogliere esseri umani ai fini dello sfruttamento sessuale, per il prelievo di organi e, non da ultimo, per lo sfruttamento della manodopera. Per questo motivo è importante che le organizzazioni sindacali s’impegnino a fondo in questo ambito. I controlli consueti condotti sui luoghi di lavoro possono essere d’aiuto, ma occorre conoscere a fondo il fenomeno per poterlo combattere più efficacemente. Per questo motivo il sindacato Unia ha deciso di rafforzare le sue attività per contrastare il fenomeno a livello regionale attraverso un coordinamento nazionale. Marie Saulnier Bloch, del dipartimento politica di Unia, è la responsabile del progetto.

Marie Saulnier Bloch, quanto è diffuso in Svizzera il fenomeno della tratta di essere umani a fini dello sfruttamento della manodopera?

Sappiamo che il fenomeno interessa tutte le regioni svizzere. È presente ma invisibile. Noi vediamo soltanto la punta dell’iceberg: la tratta è un crimine molto lucrativo. Lavoratrici e lavoratori coinvolti hanno molto spesso paura di denunciare, hanno sfiducia nelle autorità e temono rappresaglie. Nel 2020 il personale della Piattaforma svizzera contro la tratta (piattaforma-tratta.ch) ha identificato 174 vittime e accompagnato circa 500 persone. Non è possibile dare una cifra esatta della realtà del fenomeno in Svizzera oggi, si può dire però che circa 1/3 dei casi sopracitati aveva a che fare con lo sfruttamento della manodopera, compresa la mendicità forzata.  

Quali sono le professioni maggiormente interessate dal fenomeno?

Si tratta di un crimine trasversale che riguarda l’edilizia, l’artigianato, l’economia domestica, l’agricoltura, le cure, il ramo delle pulizie, quello alberghiero e della ristorazione, soltanto per citare alcune realtà.

Le istituzioni elvetiche sono sensibili a questo tema?

La tratta è una delle priorità federali nella lotta contro il crimine organizzato. L'anno scorso la Seco ha lanciato la sua campagna di sensibilizzazione per gli ispettori del lavoro e del mercato del lavoro, alla quale partecipiamo attivamente. Tuttavia, è importante che le autorità mettano a disposizione davvero i mezzi necessari per combatterla. A parte le situazioni in cui è coinvolto il crimine organizzato, il perseguimento penale e l'assistenza alle vittime sono di competenza dei cantoni. E qui osserviamo una grande disparità: ci sono cantoni molto sensibili, come quello di Ginevra, e quelli che semplicemente ignorano l'esistenza di questo crimine. Anche la debolezza degli strumenti giuridici è un grosso ostacolo: il diritto penale svizzero non sanziona lo sfruttamento del lavoro in quanto tale, concentrandosi solo sul meccanismo di coercizione a monte che lo permette, e l'art. 182 del Codice penale è di scarsa utilità nel perseguire gli autori della tratta a scopo di sfruttamento lavorativo. In generale, la mancanza di formazione e di responsabilità di tutti gli attori, le catene opache di subappaltatori, le strategie criminali degli autori e l'isolamento delle vittime hanno contribuito alla tratta. Questo è intollerabile.

Ci sono stati casi in cui si è arrivati a condannare i colpevoli di tratta?

Sì, ma non abbastanza: ci sono state meno di 10 condanne definitive dal 2006. La giurisprudenza in questo settore è carente. Sono passati solo 20 anni dall'entrata in vigore del protocollo di Palermo e la Svizzera ha impiegato sei anni per ratificarlo. Detto questo, notiamo che il 2020 è stato un anno storico: per aver maltrattato i suoi operai in diversi cantieri a Ginevra, nel Vaud e nel Vallese dal 2014 al 2017, un imprenditore è stato condannato a 6 anni di prigione per tratta di esseri umani a fini di sfruttamento della manodopera. Questo caso spiega di cosa stiamo parlando quando si parla di tratta di essere umani a scopo di sfruttamento lavorativo: 10 ore di lavoro al giorno, 6 giorni alla settimana, alloggi fatiscenti e un salario orario che andava dai 20 centesimi ai 6,5 Franchi.

A chi possono rivolgersi le vittime di tratta in Svizzera?

Le vittime e i testimoni di abuso possono chiedere una consulenza confidenziale ed essere accompagnati durante tutto il processo dalle organizzazioni che fanno parte della Piattaforma svizzera contro la tratta di esseri umani. Indipendentemente dal fatto che una vittima abbia acconsentito o meno alla situazione in cui si trova, ciò che conta in definitiva è il comportamento degli autori dell’abuso e degli intermediari. È fondamentale sapere che le vittime di tratta hanno diritto a una protezione e a un accompagnamento specifico: giuridico, sanitario e sociale. Anche se non hanno uno statuto legale. I segretariati e le regioni Unia possono fare da tramite in questo processo. Stiamo portando avanti infatti attività di sensibilizzazione e formazione sul tema all’interno di Unia e delle organizzazioni dell’Uss. Abbiamo anche creato una pagina web e materiale apposito.