Sempre meno contratti fissi nella vendita

Nei primi tre mesi dell’anno il commercio al dettaglio ha perso circa 6000 posti di lavoro a tempo pieno e parziale e il franco forte ha la sua parte di responsabilità. Preoccupati per quanto sta avvenendo, i delegati e le delegate della Conferenza del commercio al dettaglio di Unia hanno chiesto in una risoluzione alla BNS, alle autorità e ai datori di lavoro di agire rapidamente per savaguardare l’occupazione e le condizioni di lavoro in Svizzera.

L’abbandono il 15 gennaio scorso da parte della Banca nazionale svizzera (BNS) del cambio minimo del franco nei confronti dell’euro ha avuto subito chiare ripercussioni non solo sull’industria e sul settore alberghiero e della ristorazione, ma anche in quello del commercio al dettaglio. Il franco è sopravvalutato del 20 % e la seconda metà dell’anno si preannuncia difficile. Aumenta sempre più il rischio di una recessione, ha rilevato Vania Alleva, la nuova presidente del sindacato davanti ai delegati e alle delegate di Unia attivi nella vendita.

Prezzi troppo alti

Che la situazione non sia facile lo hanno testimoniato vari partecipanti all’incontro. «Nelle regioni di confine molta gente è costretta a causa dei bassi salari ad andare a fare la spesa oltre confine per poter far quadrare i conti. Prolungare gli orari non cambierà la situazione», hanno sottolineato delegati del Ticino e di Ginevra, due regioni che più delle altre risentono gli effetti del franco forte. Sono sostenuti dalla Conferenza dei direttori cantonali dell’economia pubblica. Proprio questa settimana ha puntato il dito contro i prezzi più alti in vigore in Svizzera e affermato che prolungare le ore d’apertura dei negozi non è un mezzo adatto per combattere il turismo degli acquisti oltre frontiera.

Un calo evidente

Che la gente faccia meno acquisti lo conferma anche uno studio realizzato dall’istituto di ricerca GFK e pubblicato in giugno. Nei primi cinque mesi dell’anno la vendita ha dovuto fare i conti in Svizzera con un calo del fatturato del 2,3 % rispetto all’analogo periodo precedente. In Ticino la discesa è stata del 5 % e in Romandia del 3 %. Sono diminuite soprattutto le vendite di prodotti non alimentari (-5,9 %). Anche in questo caso il Ticino ha superato tutti (-7 %). Gli esperti prevedono adesso che il 2015 si chiuda con un calo tra il 2–3 % del giro d’affari e per i prodotti non food tra il 3 e il 4 %.

Tutto questo si fa sentire anche sulle condizioni di lavoro, hanno testimoniato i partecipanti. «Un tempo lavoravamo quasi tutte a tempo pieno, mentre adesso il contratto fisso sta diventando un miraggio», si è lamentata una ticinese. «Stanno riducendo le percentuali e sempre più persone sono pagate a ora», ha aggiunto un’altra delegata. Effettivamente la crisi sta provocando una perdita di posti di lavoro. Se nel primo trimestre del 2014 il settore occupava a tempo pieno e parziale 323 000 persone, nello stesso periodo del 2015 erano 317 000 mila. In un anno il calo è stato quindi di 6000 unità.

La BNS deve agire

Non c’è più tempo da perdere, ha rilevato Natalie Imboden, responsabile della vendita a Unia. I delegati e le delegate hanno quindi adottato una risoluzione. Chiedono alla BNS di riportare il tasso di cambio del franco contro l’euro ad un livello sostenibile per tutelare i salari e i posti di lavoro in Svizzera. Dal canto loro, i datori di lavoro sono sollecitati a negoziare con Unia un contratto collettivo di lavoro. Se poi l’attività commerciale diminuisce invece di licenziare o ridurre le percentuali ai lavoratori si deve ricorrere ad altri provvedimenti, come per esempio il lavoro ridotto, hanno sottolineato le partecipanti e i partecipanti all’AND. In questo caso però ci vogliono adeguate soluzioni contrattuali, poiché per i dipendenti con paghe molto basse riduzioni salariali del 20 % non sono accettabili.