«Non chiediamo nulla di straordinario»

Una protesta in Australia contro il colosso minerario Glencore, multinazionale con sede in Svizzera

La campagna relativa all’iniziativa per multinazionali responsabili è entrata nel vivo. I settori economici più conservatori sono spaventati dall’incredibile consenso che hanno raccolto gli inizianti e stanno utilizzando tutte le loro forze per screditare una proposta di legge che in realtà è del tutto simile a quella di altri paesi occidentali.

L’iniziativa per multinazionali responsabili, in votazione il 29 novembre 2020, obbliga le aziende più grandi con sede in Svizzera, ma operanti a livello internazionale, a rispettare anche all’estero i diritti umani riconosciuti a livello internazionale, i più importanti diritti dei lavoratori e le norme ambientali internazionali. In caso di accettazione, questa iniziativa introdurrebbe il cosiddetto obbligo di diligenza da parte delle multinazionali, ovvero il dovere di identificare, lungo tutta la catena di produzione, i possibili rischi ecosociali e, in caso, di adottare misure opportune. La multinazionale risponderebbe solo per le aziende che controlla direttamente e soltanto se non può dimostrare di aver soddisfatto il suo obbligo di diligenza.

Lobby bugiarde

A poco a poco, l’iniziativa ha raccolto attorno a sé adesioni inaspettate: accanto a Unia e a tutto il fronte sindacale, a Ngo, ai partiti e alle associazioni progressiste, si sono accodati alcuni partiti e politici borghesi, le principali Chiese e persino una parte dell’economia. Anche la popolazione non è rimasta a guardare attraverso l’esposizione di bandiere, il volontariato all’interno dei numerosi comitati locali e altre forme di mobilitazione. Gli inizianti hanno fatto campagna anche lontano dal grande pubblico, cercando di convincere figure chiave del dibattito, giuristi in primis. I sondaggi premiano nettamente questi sforzi, anche se negli ultimi giorni il fronte del No sembra recuperare qualcosa (l’ultimo sondaggio Tamedia: 48% favorevoli, 34% contrari). Per Dick Marty, Copresidente del Comitato promotore e membro del Plr, «questo lieve calo è da attribuire alle notizie false e tendenziose messe in giro dalle lobby economiche più agguerrite». Una delle tante tesi portate avanti dagli oppositori: l’iniziativa introdurrebbe regole che, dal punto di vista concorrenziale, metterebbero a rischio le multinazionali elvetiche e, di conseguenza, posti di lavoro.

Tendenza internazionale

La proposta dei promotori è in linea con molte leggi vigenti su scale internazionale e non mette a rischio economia e posti di lavoro. Ne è convinto Pepo Hofstetter, responsabile Unia per la campagna: «Questa iniziativa non chiede nulla di straordinario, riguarda soltanto poche multinazionali irresponsabili che non rispettano i più elementari diritti umani, ambientali e del lavoro. Le Pmi sono esonerate da questo obbligo. Senza contare poi che molti paesi hanno introdotto regole simili o stanno discutendo norme apposite». A tal proposito, il Comitato promotore ha pubblicato prima dell’estate un rapporto del giurista Gregor Geisser, in cui si analizzano le regole vigenti in materia in Francia, Olanda, Gran Bretagna e Germania su tre livelli giuridici (diritto materiale, diritto internazionale, diritto procedurale civile). Questo rapporto conferma quanto già sottolineato in precedenza dall’Istituto svizzero di diritto comparato, ovvero che in questi paesi esistono possibilità giuridiche concrete di sanzionare società madri per le infrazioni operate da loro filiali (o addirittura dai loro fornitori, cosa che l’iniziativa elvetica non prevede). La Germania e persino l’Ue stanno discutendo per introdurre norme in materia di controllo dell’operato delle multinazionali.

Tre esempi virtuosi

In Francia una legge approvata nel 2017 obbliga le aziende con più di 5000 dipendenti a elaborare un piano per evitare violazioni gravi dei diritti umani e ambientali in tutta la propria filiera produttiva (filiali, subappaltatori e fornitori). Chi non rispetta la legge rischia multe salate. In Olanda ogni azienda che vende prodotti o servizi sul territorio nazionale deve dimostrare di non avere usufruito di lavoro minorile. Chi non rispetta questa norma rischia multe o addirittura la galera. In Gran Bretagna ogni azienda con un fatturato maggiore di 40 milioni di Franchi circa deve dimostrare che la sua filiera produttiva è pulita. Per queste aziende, però, non sono previste sanzioni. Una protesta in Australia contro il colosso minerario Glencore, multinazionale con sede in Svizzera