Uniti contro l’arroganza

I dipendenti di Thermo Fisher a Ecublens, scesi in sciopero mercoledì della scorsa settimana, sono determinati a difendere i loro impieghi

Il gruppo statunitense Thermo Fisher Scientific, che conta oltre 55 000 dipendenti nel mondo, vuole trasferire la produzione di apparecchiature high tech dal sito di Ecubles nella Repubblica Ceca. Per protestare contro questa misura, 130 dipendenti della fabbrica vodese sono scesi in sciopero. Tra le loro rivendicazioni: coinvolgere Unia nella fase di consultazione. Mercoledì 26 aprile la commissione del personale e Unia si sono incontrati con i dirigenti statunitensi dell’azienda, sotto l’egida delle autorità cantonali. Al momento di andare in stampa l’esito dei colloqui non era ancora noto.

Il braccio di ferro a Ecublens prosegue da giorni davanti ai cancelli della Thermo Fisher Scientific. Uniti, solidali e determinati a difendere i loro impieghi e le loro competenze professionali, i salariati dell’impresa hanno ribadito lunedì 24 aprile la loro decisione di scioperare. Il movimento era cominciato mercoledì della settimana precedente, al mattino presto e con un freddo pungente. Il motivo? La volontà della multinazionale di trasferire in Cechia la produzione di spettrometri a emissione ottica e a raggi X e di sopprimere circa 106 posti di lavoro sui 165 a Ecublens. Convinti della redditività della loro fabbrica, i lavoratori esigono l’annullamento del progetto di delocalizzazione. Hanno iniziato lo sciopero con tre rivendicazioni chiare: essere accompagnati da Unia nella fase di consultazione, iniziata il 6 aprile, prolungare il periodo di consultazione e accedere alle cifre aziendali per poter compiere un’analisi realistica della situazione. Rivendicazioni approvate parzialmente dalla direzione locale giovedì 20 aprile, in un accordo raggiunto sotto l’egida del Servizio per l’impiego cantonale, ma respinto categoricamente dalla direzione statunitense del gruppo.

«Bravi! E delocalizzano»

Questo rifiuto è alla base della decisione di continuare lo sciopero. «L’annuncio della delocalizzazione è stato una sorpresa. La direzione ci ha chiesto di ascoltare con attenzione. C’era anche il grande capo della divisione americana. Ci hanno detto di essere molto contenti dei nostri risultati nel primo trimestre. Ci hanno detto bravi e poi hanno aggiunto: domani però delocalizziamo», racconta un dipendente. «Hanno detto anche che contavano di risparmiare l’80% sui salari e di approfittare delle economie di scala», aggiunge un altro lavoratore. Cédric, membro della commissione del personale, è stupefatto: «Avevamo fatto un po’ di disoccupazione parziale a fine 2015 e inizio 2016, ma da allora gli affari vanno bene, ci chiedono di fare delle ore supplementari. Non credo alle ragioni avanzate per giustificare la delocalizzazione. Credo piuttosto che tutto sia stato deciso per motivi finanziari, a livello di azionisti.» «Nel 2016 Thermo Fisher Scientific ha comprato il gruppo FEI, che costruisce microscopi elettronici e possiede una fabbrica a Brno, nella Repubblica Ceca. La fabbrica sarebbe mezzo vuota, la vogliono riempire», spiega un altro dipendente.

Salvare tutti gli impieghi

«I licenziamenti sono previsti a partire da ottobre. Sarà colpita una parte del personale nella produzione, nelle finanze e negli acquisti, anche se è tutto ancora a livello ipotetico e ci fanno credere che si possa ancora cambiare tutto», ci aveva detto Esteban, elettricista e presidente della commissione del personale, nel primo giorno di sciopero. «Sì, il nostro obiettivo è il mantenimento dei posti di lavoro. Tutta questa mobilitazione, così rapida, è la prova che siamo sempre stati presenti per l’impresa. Se c’era da lavorare il sabato o fare delle ore straordinarie, rispondevamo sempre: presente.» Una visione condivisa da Nicole, chimica nella ricerca e sviluppo: «Speriamo di poter conservare tutti gli impieghi, è per questo che siamo tutti fuori, solidali anche con gli interinali, tutti insieme. Cerchiamo di dimostrare che la delocalizzazione gli farà perdere dei soldi. Il nostro obiettivo principale è di salvare tutti gli impieghi e anche l’impresa. Per questo vogliamo il sindacato al nostro fianco.» Oltre 130 lavoratori hanno dato mandato a Unia di difendere i loro interessi, un mandato che ha molto irritato i dirigenti statunitensi, i quali non vogliono sentir parlare di sindacato.

«Operai specializzati»

I dipendenti, molti dei quali lavorano alla Thermo Fisher da vari anni, hanno un asso nella manica : le loro competenze specialistiche. Gli strumenti per l’analisi di metalli, cemento, liquidi e alimenti prodotti qui hanno un alto contenuto tecnologico. «Si tratta quasi di alta moda», dice sorridendo un tecnico. Assieme ad alcuni colleghi spiega che le macchine sono state sviluppate su misura per ogni cliente e che il gruppo le produce solo a Ecublens. Attualmente nel mondo sono in funzione circa 5000 spettrometri, in aziende come LafargeHolcim, ArcelorMittal e Nestlé. Gli strumenti necessitano di un servizio di manutenzione che solo il personale di Ecublens può fornire. «Noi però rappresentiamo solo lo 0,8% della cifra d’affari di Thermo Fisher. Per gli americani, che stanno a anni-luce dal quel che accade qui, non è niente…» E un altro lavoratore aggiunge: «Le competenze ? Sono la nostra forza, il nostro valore aggiunto. Fabbricare pezzi e strumenti è una cosa, ma far funzionare il tutto è un’altra».