«Lo sciopero ha cambiato le coscienze»

Parità salariale subito

Abbiamo incontrato e intervistato Julia Cámara, membro del coordinamento nazionale dello sciopero, che ci ha parlato, tra le altre cose, delle differenze che sussistono tra uno sciopero classico, legato soprattutto a questioni salariali e contrattuali, e uno sciopero femminista.

Julia Cámara, quali sono le tappe che hanno portato allo sciopero in Spagna?

In prima battuta abbiamo costituito dei comitati regionali e uno statale, poi abbiamo avuto diversi momenti di elaborazione teorica sul concetto di sciopero femminista e, infine, ci siamo concentrate su aspetti organizzativi. Rispetto alle lotte del lavoro, la nostra protesta era condotta su più livelli: non ci siamo soltanto limitate a non lavorare, ma abbiamo anche bloccato le scuole e le università, ci siamo astenute dai lavori domestici e di cura e, infine, abbiamo fatto uno sciopero dei consumi. (vedi «La lotta delle donne è globale»)

Come avete fatto a coinvolgere tutte le categorie di donne della società?

Questo era un nostro obiettivo ma non so se lo abbiamo raggiunto in pieno. Alcuni collettivi di donne di colore, ad esempio, hanno rivolto alcune critiche, a mio modo di vedere pertinenti, perché non si sentivano incluse nel ventaglio di rivendicazioni della prima ora. Sul tema del coinvolgimento pieno di tutte le categorie di donne c’è ancora molto da fare.

Cosa è cambiato dopo lo sciopero?

Si è verificato un cambiamento radicale della coscienza collettiva rispetto al tema del femminismo: prima dello sciopero il femminismo sembrava essere associato a un gruppetto sparuto di donne un po’ folli impegnate in attività radicali per strada, ora è sulla bocca di tutte. Tutto questo può comportare alcuni rischi, ma è sicuramente l’occasione per una presa di coscienza politica per molte donne.

Quale ruolo hanno giocato le donne iberiche residenti all’estero?

Sono state molto importanti. Un esempio: il movimento transnazionale Marea granate, nato nel 2012 per combattere le politiche economiche e sociali dei governi spagnoli, causa della recente ondata emigratoria dalla penisola iberica, ha partecipato attivamente alla lotta con i suoi gruppi chiamati Femigrantes e ha contribuito in maniera decisiva a internazionalizzare le rivendicazioni dello sciopero.

Gli uomini come hanno supportato lo sciopero?

Gli uomini hanno giocato il ruolo di facilitatori. A loro abbiamo dato il compito di gestire le attività di supporto dello sciopero: lo spazio per i bambini e la ristorazione. In generale, abbiamo chiesto loro di fare il possibile per permettere un’ampia partecipazione delle donne allo sciopero. 

Lo sciopero spagnolo può insegnare qualcosa al movimento svizzero?

Le strutture classiche di organizzazione degli scioperi sono importanti per la riuscita dello sciopero. Si deve cercare però, a mio modo di vedere, di andare oltre: occorre cercare di costruire spazi il più possibile aperti.

Cosa succederà adesso?

Si sciopererà ancora, è deciso. Vogliamo superare ciò che abbiamo ottenuto lo scorso anno. È difficile perché ovviamente l’anno scorso l’entusiasmo era molto alto ma credo però che ora ci sia più consapevolezza politica e quindi non escludo che, nel 2019, le donne rimaste a casa lo scorso anno si uniranno alla protesta.