La lobby tedesca

Gli imprenditori del sud della Germania, negli ultimi anni, sono riusciti a fare pressione sull’Unione europea.

Le pressioni dei negoziatori dell’Unione europea per allentare le protezioni salariali elvetiche, nell’ambito delle trattative per l’accordo quadro, sono il frutto di un sapiente lavoro di lobby durato anni.

Le misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone proteggono il livello salariale elvetico. Queste misure non sono uno strumento di chiusura dell’economia svizzera, ma un mezzo di tutela dei lavoratori dalla concorrenza reciproca al ribasso: esse vanno a vantaggio dei salariati in territorio elvetico, ma anche dei lavoratori stranieri distaccati che, lavorando temporaneamente su territorio svizzero per conto di un’azienda estera, hanno la garanzia, salvo abusi sfuggiti ai controlli, di ricevere un salario in linea con quello percepito in Svizzera.

Pressioni

Stando alla ricerca commissionata da Unia, sono gli imprenditori del sud della Germania che, negli ultimi anni, sono riusciti a fare pressione sull’Unione europea, affinché, nel quadro delle negoziazioni per l’accordo quadro, richiedesse alla Svizzera un allentamento significativo delle misure di accompagnamento. Questi imprenditori sono riusciti a far passare l’idea che la Svizzera sia una realtà economicamente chiusa, votata al protezionismo economico, che pone quindi ostacoli al libero mercato europeo. I dati dimostrano il contrario: nel 2018 hanno lavorato in Svizzera ben 40 000 lavoratori provenienti dalla Germania, la nazione da cui provengono la maggior parte dei lavoratori distaccati attivi su territorio elvetico. Si tratta soprattutto di lavoratori dell'edilizia, dell'industria e dei servizi. Le aziende tedesche hanno avuto commissioni per oltre 1 miliardo di Chf.

Profitto

Attaccando le misure accompagnatorie, gli imprenditori della Germania meridionale intendono semplicemente aumentare le loro possibilità di profitto a discapito dei salariati. Lo studio fa luce anche su una realtà poco conosciuta, ovvero quella dei lavoratori distaccati di aziende svizzere operanti all’estero. Le aziende svizzere, infatti, non sono confrontate con meno burocrazia quando devono lavorare in Germania, in Francia o in Italia: quelle operanti in Italia, ad esempio, «sono costrette addirittura ad affidarsi a un fiduciario», dichiara Andreas Rieger, «mentre in Germania, che predica bene ma razzola male, occorre annunciare i lavoratori, dimostrare di pagare loro i contributi sociali e versare contributi alla cassa vacanze, i quali possono superare facilmente le somme pagate dagli imprenditori in Svizzera per le cauzioni».