Quando lavorare non basta

Le lavoratrici sole nella cura dei figli sono tra le categorie a più rischio povertà in Svizzera (foto: pexels.com)

I lavoratori e le lavoratrici in condizione di povertà in Svizzera non sono pochi. Si tratta di un fenomeno poco considerato rispetto alla disoccupazione o al ricorso ai servizi sociali, che coinvolge, secondo uno studio recente condotto dal sociologo Eric Crettaz, più dell’8% dei nuclei domestici. La campagna salariale di Unia è pensata anche per loro.

In un articolo intitolato «La pauvreté laborieuse en Suisse: étendue et mécanismes», disponibile liberamente alla lettura in francese e tedesco, pubblicato dalla rivista online Social Change in Switzerland, il sociologo Eric Crettaz, della Haute école spécialisée de Suisse occidentale, ha analizzato i meccanismi che portano il lavoratore alla povertà. Tra questi, il livello salariale è ovviamente fondamentale.

Lo studio

Il fenomeno dei cosiddetti working poor non è secondario. Secondo Eric Crettaz, che ha utilizzato i dati dell’Indagine sui redditi e sulle condizioni di vita, oltre l’8% delle sfere domestiche, in cui almeno una persona lavora, guadagna meno del 60% del reddito medio nazionale. Lo studio chiarisce anche che, senza le prestazioni sociali esistenti, questa percentuale salirebbe drammaticamente al 15%. Oltre alla povertà in termini di reddito, Crettaz ha cercato di misurare, tramite un questionario, anche il livello di privazione materiale delle persone a basso reddito, utilizzando alcuni criteri tra cui: la possibilità di fare vacanze, di venire incontro a spese impreviste, di riscaldare adeguatamente la propria abitazione, di mangiare regolarmente carne o pesce, di comprare e mantenere un’automobile.

Le cause e gli interessati

Secondo lo studio, sono quattro le cause che conducono alla povertà del lavoratore e della lavoratrice: bassi salari, bassi carichi di lavoro, spese molto elevate, dovute soprattutto ai costi per il mantenimento dei figli, e prestazioni sociali insufficienti. Date queste premesse non stupisce allora che a soffrire la povertà siano spesso le persone poco qualificate, i più giovani, i genitori separati, le famiglie numerose e le persone senza passaporto elvetico, in particolare quelle provenienti da un paese al di fuori dell’Unione europea. In termini di povertà monetaria, lavoratori e lavoratrici soffrono allo stesso modo ma, scrive Crettaz citando altri studi sul tema, questo dato non deve trarre in inganno: la povertà monetaria è allo stesso livello soltanto perché, spesso, nel nucleo famigliare di una lavoratrice è presente un altro reddito complementare. In termini di privazione materiale emerge invece chiaramente la differenza di genere e le lavoratrici risultano più esposte dei lavoratori. Un rischio povertà al femminile che diventa drammatico nel momento in cui la donna deve affrontare una separazione. 

Donne e povertà

Come afferma Lisa Bacchetta, dell’Associazione ticinese famiglie monoparentali e ricostituite (Atfmr), «anche se la donna separata lavora, è comunque a rischio di povertà». Questo perché, continua sempre Bacchetta, «non sono pochi i casi in cui i figli non ricevono gli alimenti dall’altro genitore e la donna non riesce a lavorare ore sufficienti, perché deve occuparsi anche della cura dei figli o è costretta, magari dopo anni dedicati alla famiglia, a rientrare nel mondo del lavoro svolgendo mansioni a basso salario». Sempre secondo lo studio, sono proprio le prestazioni sociali ad arginare il fenomeno dei working poor. Senza queste misure, il loro numero sarebbe quasi il doppio. Un argine necessario ma, stando sempre alla coordinatrice dell’Aftmr, «indebolito in Ticino da alcune misure di risparmio che hanno di fatto lasciato alcune famiglie a bocca asciutta, togliendo loro il diritto a ricevere l'assegno famigliare integrativo».

La campagna Unia

Un antidoto alla povertà dei lavoratori, come abbiamo visto, è il salario, accompagnato dalla sicurezza rispetto ai carichi di lavoro e, non da ultimo, dalla fine della discriminazione salariale a discapito delle donne. La campagna del sindacato Unia per il 2020 intende arginare queste situazioni incresciose di povertà, ma vuole ovviamente migliorare la vita anche di lavoratori e lavoratrici che, pur non essendo in condizioni di indigenza, faticano a sostenere i costi in continua crescita di assicurazioni sanitarie e affitti. Come ha ricordato Andreas Rieger, ex Presidente Unia, «negli ultimi venti anni sono stati ottenuti buoni risultati sindacali, in particolare con le campagne per un salario minimo di 3000 Franchi prima e di 4000 Franchi poi, che hanno portato a un rialzo delle paghe più basse, ma ora l’effetto trainante di queste campagne si è esaurito e occorre quindi dare una spinta ulteriore ai salari: si sta di nuovo accumulando un ritardo preoccupante». Il sindacato Unia sta conducendo una campagna serrata in tutti i rami professionali in cui è radicato e, inoltre, ha annunciato una grande mobilitazione nazionale a tema salariale per il 19 settembre del 2020.