«Proteggere tutti, nessuno escluso»

Le donne delle pulizie: bassi salari, condizioni di lavoro precarie e invisibilità

Alcune categorie di lavoratori non possono usufruire delle misure economiche governative per far fronte alla crisi provocata dal coronavirus. La condizione delle collaboratrici domestiche è molto preoccupante. Per Unia è necessario un intervento urgente per far fronte a una situazione sociale che potrebbe diventare esplosiva.

L’Unione sindacale svizzera (Uss), durante una conferenza stampa virtuale, ha formulato nuove rivendicazioni relative alla crisi. I sindacati hanno ribadito la rivendicazione più urgente, ovvero quella di proteggere la salute dei lavoratori, in particolare di quelli più a rischio.

Inoltre, hanno presentato un piano a breve termine per la salvaguardia dei posti di lavoro e del potere d’acquisto (a tal proposito rimandiamo all’articolo pubblicato da areaonline il 15 aprile). Nel suo intervento, la Vicepresidente dell’Uss Vania Alleva, inoltre, ha richiesto al governo «di agire subito a favore di lavoratrici e lavoratori esclusi dalle protezioni sociali contro la crisi, ovvero gli interinali per i quali non viene fatta richiesta di indennità per lavoro ridotto, i sans papier e il personale domestico. La soluzione è un fondo di emergenza per far fronte alla perdita del salario».

Senza tutele

La situazione per il personale domestico appare alquanto drammatica. Unia, in un comunicato stampa dell’8 aprile, aveva già denunciato l’esclusione di questa categoria professionale dalle misure di estensione del diritto d’indennità per lavoro ridotto (Ilr). Nel frattempo, non è cambiato nulla e in questi giorni si sono moltiplicate le segnalazioni di lavoratrici delle pulizie o di babysitter che sono rimaste senza lavoro e senza salario.

I media, in particolare quelli della Svizzera francese, hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica alcune di queste storie che, in alcuni casi, appaiono davvero drammatiche. Il quotidiano 24heure ha riportato, ad esempio, il caso di una lavoratrice lasciata a casa da 6 dei suoi 9 datori di lavoro, con un marito con problemi di salute e 4 figli da mantenere, costretta a rivolgersi alla Caritas per far fronte alle spese quotidiane.

Pratiche illegali

La questione interessa anche il Ticino. Emanuela Fraquelli, segretaria sindacale Unia, ha illustrato la situazione: «Ci sono lavoratrici lasciate a casa che non possono chiedere la disoccupazione ordinaria perché non vengono licenziate». Un’addetta delle pulizie frontaliera, da noi sentita, è rimasta senza una parte cospicua del salario perché uno dei due datori di lavoro, molto facoltoso, ha deciso di trasferirsi in una casa di vacanze, di rinunciare ai servizi della donna e di venir meno ai suoi doveri.

La pratica di lasciare a casa il personale domestico a causa del coronavirus e di sospendere il pagamento del salario è chiaramente illegale, ma è molto difficile riuscire a scovare i casi in cui questo avviene. Le lavoratrici hanno paura di perdere definitivamente il posto di lavoro e quindi non denunciano. Secondo Amerigo Pomponio, della cassa disoccupazione Unia, «il problema non riguarda solo le addette alle pulizie ma anche le badanti che sono state lasciate a casa per preservare la salute dell’anziano».  

Le cifre

Numerose ricerche hanno mostrato che il lavoro domestico è un settore in forte espansione. Fornire numeri precisi è impossibile, ma è chiaro che stiamo parlando di un ambito molto importante dell’economia elvetica: nel 2017, alcune stime indicavano che, soltanto nell’ambito delle pulizie domestiche, erano impiegate 250.000 persone, di cui 60.000 assunte da aziende. Con l’ascesa delle piattaforme online tipo Batmaid, questi numeri sono ulteriormente lievitati.

Il lavoro domestico, che comprende anche la cura di bambini e anziani, è caratterizzato da un alto tasso di lavoro in nero. Non sono pochi i lavoratori senza contratto o che, addirittura, risiedono in Svizzera senza permesso di soggiorno: si stima che i cosiddetti sans papier impiegati nelle sfere domestiche svizzere sfiorino addirittura le 50000 unità. Non sappiamo quanti, ma è facile immaginare che alcuni di questi lavoratori siano attualmente senza salario. A tal proposito, Arthur Auderset, segretario sindacale Unia, ha dichiarato: «I lavoratori senza contratto e i sans papier, sono sottoposti a un contratto di tipo orale o tacito, per cui i datori di lavoro, pur nell’illegalità della loro posizione, sono tenuti a rispettare gli obblighi del datore di lavoro. Se non usufruiscono delle prestazioni, devono comunque versare il salario».

Le piattaforme

Il personale addetto presso aziende di pulizia ha diritto all’Ilr, mentre quello impiegato dalle piattaforme no, perché queste ultime non sono considerate dalla legge alla stregua di datori di lavoro. Secondo Anna Gabriel Sabate, segretaria sindacale Unia a Ginevra, «questo fatto conferma l’ambiguità di queste piattaforme, che fanno i soldi sulle spalle delle lavoratrici, senza assumersi le responsabilità d’impresa. Questo era chiaro anche prima, perché queste realtà hanno sempre negato qualsiasi forma di negoziazione relativa ai salari. Siamo di fronte all’uberizzazione dell’economia domestica».

Una lavoratrice della piattaforma Batmaid, attiva a Zurigo, ha visto diminuire le sue ore di impiego «senza che la piattaforma abbia fatto nulla. Non lo trovo giusto. Oltretutto, in questi giorni, ho dovuto acquistare personalmente guanti e disinfettante».

Ai margini

La questione del personale domestico in tempi di crisi fa emergere la marginalità di questa categoria. La maggior parte di queste lavoratrici è migrante e ora si trova in una situazione ancora più difficile del normale. La pandemia non ha solo reso palese la centralità di alcune professioni poco considerate, nella vendita al dettaglio o nelle cure, ma ha fatto emergere categorie di lavoratori di serie B, prive delle tutele che le spetterebbero.

Hilmi Gashi, responsabile nazionale Unia per la migrazione, è concorde con questo assunto e aggiunge: «A soffrire sono anche le persone con permesso L. A causa delle chiusure nel ramo della gastronomia o di altre attività, molti di questi lavoratori hanno perso il lavoro. Se non hanno i requisiti per la disoccupazione o, come accade, non riescono a ottenere i moduli necessari dai paesi di origine a causa della pandemia, sono ora senza reddito. I comuni non li assistono o addirittura mettono loro ostacoli. Sono migliaia i lavoratori dei cantoni di montagna, con famiglie al seguito, che si trovano in questa situazione. Ancora peggio va per quei lavoratori a breve termine, ovvero senza permesso di soggiorno, per i lavoratori in attesa del permesso di soggiorno e per quelli provenienti da un paese extra Ue. La Svizzera ha il dovere di proteggere tutti, nessuno escluso».