«Ora è tempo di investimenti pubblici»

Corrado Pardini alla manifestazione dell'industria 2009 (foto: Manu Friederich)

La crisi provocata dal coronavirus ha messo in ginocchio molti settori dell’economia Svizzera. In alcuni rami dell’industria sono a rischio molte realtà produttive e migliaia di posti di lavoro. Intervista a Corrado Pardini, responsabile del settore Industria, che a fine luglio lascerà il suo incarico.

Dopo 12 anni di onorata carriera ai vertici di Unia, Corrado Pardini lascia il suo ruolo di responsabile del settore Industria. La sua scelta, maturata prima dello scoppio della crisi, arriva in un momento drammatico per l’industria elvetica: interi rami industriali sono a rischio e con essi migliaia di posti di lavoro.  

Corrado Pardini, ha funzionato la strategia sindacale per proteggere la salute dei lavoratori dell’industria?
Non appena ci siamo accorti della gravità della situazione, abbiamo reagito elaborando una guida destinata ai responsabili della sicurezza, alle commissioni del personale e ai segretari sindacali. Si trattava di fornire una risposta uniforme all’interno dei differenti rami industriali e nelle regioni. In seguito, abbiamo cercato di influenzare le aziende sul terreno. Possiamo dire che ha funzionato laddove c’è stato ascolto da parte dei datori di lavoro.   

Si può dire che il rapporto tra le parti sociali durante le fasi acute della crisi è stato positivo?
Con le grandi imprese c’è stato nel complesso un clima costruttivo. In alcuni rami, ad esempio quello alimentare o quello chimico-farmaceutico, in cui la protezione del prodotto è fondamentale, la risposta è stata molto positiva. Nell’industria orologiera abbiamo concordato una chiusura generale che ha permesso di impostare un piano di protezione efficace per la successiva riapertura. Anche nell’industria meccanica la risposta è stata nel complesso buona. Con le piccole-medie imprese il dialogo è risultato invece più difficile. Un altro punto negativo: i controlli cantonali relativi alla sicurezza sono stati a dir poco carenti.   

Quali sono gli scenari per l’industria svizzera nei prossimi mesi?
Per alcuni comparti la crisi sarà inevitabile, soprattutto per quelli che dipendono dalle esportazioni, come l’industria Mem, oppure dal potere d’acquisto interno ed estero, come l’industria orologiera. Anche chi dipende direttamente dagli investimenti esteri, come ad esempio la Stadler, che costruisce treni, così come le piccole realtà produttive altamente specializzate, sono esposte a forti rischi. Per altri invece la situazione è decisamente più rosea, ovvero per l’agroalimentare e la farmaceutica.

Come si potrebbe evitare il peggio?
L’industria è fondamentale per il nostro sistema economico. Il 18% della nostra ricchezza proviene da questo settore, in cui sono presenti dei veri e propri gioielli produttivi capaci di competere sulla scena internazionale. Mantenere questo tessuto è fondamentale. Lo si può fare sostenendo il potere d’acquisto delle famiglie e prolungando ulteriormente, se necessario, l’accesso all’indennità per lavoro ridotto. Non da ultimo è necessario avere il coraggio di investire massicciamente nell’innovazione, nella ricerca, nelle università, nella formazione continua.    

Negli scorsi mesi si è molto parlato di rilocalizzazione delle industrie europee. Il fenomeno potrebbe interessare la Svizzera?
Il ritorno in Europa di realtà produttive importanti è un fenomeno reale. Durante questa pandemia ci siamo accorti che è fondamentale riacquisire capacità produttive per prodotti quali, ad esempio, i vaccini e le mascherine. D’altra parte, non bisogna cadere nell’errore di sostenere politiche fortemente protezionistiche o addirittura autarchiche.

Veniamo a lei: perché ha deciso di lasciare?
Dopo 40 anni di sindacato, prima come iscritto, poi come segretario e infine come dirigente, ho deciso di seguire altre strade. Il sindacato è un mondo meraviglioso, con cui rimarrò in contatto in qualità di consulente, ma è giusto anche lasciare spazio ai giovani, non solo a parole.

Come vede il futuro di Unia?
Negli ultimi anni abbiamo imboccato la strada giusta, migliorando i contratti collettivi, avanzando con successo proposte formative per affrontare le sfide della digitalizzazione e conducendo battaglie sociali e politiche, in primis a fianco delle donne, dentro e fuori il mondo del lavoro. Il sindacato deve continuare a guardare avanti, cercando di leggere per tempo i cambiamenti in atto. Importante aprirsi sempre a nuove categorie di salariati, per il settore industriale penso al personale altamente qualificato, e continuare a lottare per mantenere salda l’unità dei lavoratori, a prescindere dalla loro nazionalità, contro gli attacchi populisti dell’Udc. Solo così potremo continuare a essere influenti nella società.