La domenica non si vende! Via alla campagna contro la modifica della legge sui negozi in Ticino

La domenica non va trasformata in un giorno lavorativo come tutti gli altri. Questo nell’interesse di chi lavora, delle famiglie e dell’intera società. Sono ormai decenni che il sindacato Unia va ripetendo questo concetto nell’ambito delle campagne contro la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi. Come è il caso in queste settimane in Ticino in vista di un’ennesima votazione sul tema, il prossimo 18 giugno.

Le cittadine e i cittadini ticinesi saranno infatti chiamati ad esprimersi su una modifica legislativa decisa dal Parlamento cantonale lo scorso autunno, che mira ad estendere ulteriormente il lavoro domenicale e festivo nei negozi. E questo a soli due anni dall’entrata in vigore di una legge che già consente grande e sufficiente libertà al settore del commercio al dettaglio.

Davvero troppo per i sindacati che con successo hanno promosso il referendum e che ora sono impegnati nella campagna di votazione in seno a un Comitato unitario che riunisce un ampio ventaglio di forze sindacali, politiche e della società civile impegnate nella difesa degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, dei salariati e dell’interesse pubblico.

No al lavoro 7 giorni su 7

«La domenica non si vende» è lo slogan della campagna (per cui è stato creato anche uno speciale sito internet), presentata questo 20 aprile in una conferenza stampa (i dettagli nell’articolo pubblicato sul sito del nostro giornale area) a Bellinzona.

«Non vogliamo una società in cui si lavora, si produce e si consuma sette giorni su sette per 365 giorni all’anno», ha affermato Chiara Landi, responsabile del settore terziario di Unia Regione Ticino e Moesa, sottolineando come le disposizioni in vigore già consentano ampi margini di manovra.

Ma c’è chi vuole ancora di più: la legge in votazione il 18 giugno prevede infatti l’aumento delle aperture ordinarie da da 3 a 4 domeniche all’anno, il prolungamento dell’orario fino alle 19 anche nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica e nelle domeniche che precedono il Natale, così come l’aumento dei negozi (non più solo quelli con superfici fino 200 metri quadrati ma tutti quelli fino a 400 mq) con diritto alle deroghe previste per le località cosiddette «turistiche», pari a due terzi del cantone.

«Con questa modifica di legge, si rischia di spalancare le porte alla generalizzazione della giornata lavorativa di 24 ore», ha sottolineato la sindacalista di Unia. Di qui l’invito a non farsi «ingannare: non si tratterà di una piccola modifica. E non lasciamoci sedurre dai falsi miti del progresso; la modernità deve fare rima con sostenibilità: salari dignitosi, orari di lavoro ragionevoli, vero equilibrio tra vita professionale, familiare e privata. Questa è la modernità».

In 3 votazioni su 4 la liberalizzazione non passa

La votazione del 18 giugno in Ticino è l’ultima di una lunga serie che da anni vede il sindacato Unia impegnato contro una liberalizzazione dissennata e in difesa delle condizioni di lavoro e di vita del personale della vendita, una categoria già estremamente fragile, con quasi un quarto dei dipendenti (soprattutto donne) confrontati con la problematica dei bassi salari e con la precarietà.

Un impegno, quello del nostro sindacato (e dei soggetti che l’hanno preceduto, in particolare del Sindacato edilizia industria SEI) perlopiù pagante, come dimostrano i risultati delle numerose consultazioni popolari tenutesi negli ultimi 25 anni nei vari Cantoni, che in tre quarti dei casi hanno visto bocciati i progetti di liberalizzazione. A dimostrazione del fatto che il prolungamento degli orari dei negozi, oltre ad arrecare danno al personale, non è affatto una necessità per i consumatori.