«Uber è un datore di lavoro!»

Giornata d'azione contro Uber a Basilea, maggio 2016

Uber, il servizio di trasporto privato gestito da un'applicazione digitale, deve farsi carico delle sue responsabilità di datore di lavoro e pagare gli oneri sociali dei conducenti. A questa conclusione giunge la prima perizia in Svizzera dedicata agli aspetti giuridici dell'«economia digitale», commissionata da Unia al professore basilese Kurt Pärli.

Qual è la vera natura dei rapporti tra Uber e i suoi conducenti? Siamo di fronte a un servizio digitale messo a disposizione di lavoratrici e lavoratori indipendenti o a un vero e proprio contratto di lavoro? Queste domande accompagnano la piattaforma digitale fin dalla sua fondazione negli Stati Uniti nel 2009. In molti paesi tassisti e sindacati sono saliti sulle barricate contro quello che ritengono un modello funzionale ad aggirare le normative sul lavoro e sul trasporto delle persone. Uber è assurto a simbolo dei rischi dell' «economia digitale» per i diritti dei lavoratori.

Applicare le norme vigenti

Ricordiamolo: Uber permette agli utenti di prenotare un trasporto privato attraverso un'applicazione digitale. Per utilizzare l'applicazione, gli utenti devono registrarsi e fornire i dati della propria carta di credito. Il trasporto è compiuto da conducenti che utilizzano la propria automobile. Uber, presente anche in alcune città svizzere, è stata oggetto a più riprese di azioni di protesta da parte dei tassisti elvetici, che l'accusano di praticare una forma di dumping e di fomentare il precariato. Anche Unia si è schierata a fianco dei conducenti professionali. Ora, con la perizia giuridica commissionata a Kurt Pärli, professore di diritto privato sociale all'università di Basilea, il sindacato cerca di fare chiarezza sulla natura di Uber, per richiamare le autorità pubbliche al loro dovere di applicare la normativa vigente sul lavoro.

Struttura complessa

Nella sua perizia, Pärli osserva che i rapporti tra Uber, i conducenti e gli utenti del servizio sono «estremamente complessi». La registrazione degli utenti passa per Uber International, la cui sede europea si trova ad Amsterdam. I conducenti stipulano un contratto di licenza con una concessionaria di Uber, Rasier Operations, anch'essa domiciliata nei Paesi Bassi. Uber Switzerland dal canto suo si occupa dei rapporti con i conducenti. Al di là di questa complessità e di alcuni elementi che potrebbero suffragare l'ipotesi di un'indipendenza dei conducenti (in particolare l'uso della propria automobile), l'analisi del contratto tra conducenti e Rasier compiuta da Pärli indica il netto prevalere di un rapporto di subordinazione tra datore di lavoro e dipendente.

Normali dipendenti

Questo tipo di rapporto è attestato in particolare dalle istruzioni dettagliate che l'azienda fornisce ai conducenti che eseguono un trasporto. Inoltre, anche se l'accettazione di una corsa non è obbligatoria, questo obbligo esiste di fatto, perché chi rifiuta regolarmente delle corse non ottiene altri incarichi. I conducenti sono inoltre esposti a un sistema di valutazione da parte degli utenti che equivale a una forma di controllo e che influisce sulla possibilità di effettuare delle corse. Pärli ritiene quindi che i conducenti di Uber debbano essere considerati a tutti gli effetti dei dipendenti, sia dal punto di vista del diritto del lavoro, sia da quello della normativa sulle assicurazioni sociali. A una conclusione simile era già arrivata lo scorso maggio l'assicurazione per gli infortuni professionali SUVA.

Contributi sociali e norme di protezione

Stando al professore di diritto basilese, Uber è dunque tenuta a versare i contributi sociali (AVS, AI, assicurazione disoccupazione e così via) come ogni altro datore di lavoro. Inoltre deve rispettare le norme della legislazione sul lavoro, relative p. es. a lavoro notturno, ferie, malattia, e l'ordinanza sulla durata del lavoro dei conducenti professionali (OLR2). Il fatto che il contratto tra i conducenti di Uber e Rasier indichi Amsterdam come foro competente per la risoluzione di conflitti non ha secondo Pärli conseguenze dirette sulle assicurazioni sociali, per le quali vale in ogni caso il diritto svizzero. Diversa è la questione sul piano del diritto del lavoro: sebbene ci siano argomenti per negare la validità della clausola relativa al foro competente, sulla questione dovrebbe pronunciarsi un tribunale.

«Chiaro invito alle autorità»

In ogni caso, la perizia indica la possibilità di ottenere per via giuridica una risposta alle sfide che il modello Uber pone alla protezione dei diritti dei lavoratori. Inoltre, come nota Roman Künzler, responsabile del settore Terziario di Unia Svizzera nordoccidentale, «la perizia giuridica è un chiaro invito alle autorità cantonali e nazionali ad applicare le leggi e a vietare il modello Uber finché non l'azienda deciderà di rispettare le leggi decise democraticamente.» Poiché è improbabile che Uber si risolva volontariamente a considerarsi un normale datore di lavoro, tocca anche ai conducenti e alle conducenti di Uber «organizzarsi, difendersi e affrontare i relativi procedimenti giudiziari», aggiunge Künzler. «Unia li sosterrà e continuerà a opporsi con forza all'erosione dei diritti dei lavoratori.»