La Svizzera e il mito della meritocrazia

Le ricerche dicono che il sistema scolastico svizzero è fortemente discriminatorio

Nell’ambito del progetto pluriennale di ricerca Tree, dell’Università di Berna, sono state analizzati i percorsi scolastici e lavorativi di migliaia di persone. A partire dall’analisi di questi dati, Thomas Meyer e Stefan Sacchi hanno portato alla luce i fattori discriminatori del sistema scolastico elvetico.

L’economista Vittorio Pelligra, in una delle sue consuete rubriche domenicali su Il sole 24 ore, scriveva: «Il mito della meritocrazia assurto come principio ordinatore di una società giusta, è, in realtà, nient'altro che la legittimazione morale della diseguaglianza». Questa frase si adatta molto bene al sistema formativo svizzero: considerato da molti come ascensore sociale efficace e premiante nei confronti del merito, aggrava nella realtà le differenze sociali esistenti.

Un sistema verticale

Nel loro articolo intitolato «Wieviel Schule braucht die Berufsbildung? Eintrittsdeterminanten und Wirkungen von Berufslehren mit geringem schulischen Anteil» (Quanta formazione in classe è necessaria nell’apprendistato? Accesso ed effetti dell’apprendistato con poca didattica in classe), Thomas Meyer e Stefan Sacchi, ricercatori di grande esperienza dell’Università di Berna, fanno il punto sulla selettività sociale nel sistema scolastico.

La conclusione della loro analisi non lascia spazio a dubbi: accanto alla formazione liceale, riservata a pochi, esistono apprendistati con un alto potenziale educativo e di carriera e apprendistati con una minore componente formativa e scarse prospettive lavorative. L’accesso a questi percorsi dipende meno dalle capacità e dai risultati e molto più dalle caratteristiche sociali dell’individuo.

Lo studio dimostra che, una volta che una persona è stata dirottata verso una formazione con poche potenzialità, molto difficilmente riuscirà a cambiare il suo percorso educativo e quindi ad avere buone prospettive di carriera in futuro.

Il paradosso

Senza considerare gli aspetti extra-lavorativi di una buona formazione, che spesso sono trascurati nel dibattito pubblico elvetico, ci troviamo di fronte a un paradosso: il mercato del lavoro in Svizzera necessita sempre di più di manodopera qualificata, a più livelli, ma il suo sistema formativo non riesce a fornirne a sufficienza. Si preferisce spesso importarla dall’estero, creando a volte frustrazione sociale tra la popolazione residente.

Il problema, afferma Thomas Meyer, è di natura politica e ideologica: «Abbiamo un potenziale non utilizzato nel paese a causa di un sistema scolastico molto selettivo che spesso tarpa le ali alla persona, alle sue aspirazioni, soprattutto se lo scolaro proviene dai piani bassi della piramide sociale».

Questo sistema crea molto stress, anche alle famiglie più attrezzate a seguire i figli nel percorso scolastico, eppure, continua Meyer, «il consenso della popolazione, soprattutto nella Svizzera tedesca, dove abbiamo sistemi cantonali molto selettivi, è alto. Molte persone sono convinte che solo la selettività possa garantire la qualità della formazione. Inoltre, tendono a sopravvalutare la mobilità all’interno dei percorsi formativi. La nostra ricerca lo dimostra: i passaggi da un percorso scolastico all’altro sono nel complesso piuttosto limitati. Sono 30 anni che porto avanti queste tesi, ma ho l’impressione che poco cambi nelle politiche scolastiche».

Esistono certamente aspetti positivi nel sistema formativo svizzero, ma spesso sono sopravvalutati e ideologizzati: «La formazione professionale può essere un volano sociale, soprattutto per famiglie di origine migratoria, ma non dobbiamo dimenticare che viviamo in uno dei paesi più ricchi al mondo. A garantire occupazione e, soltanto a volte, buoni livelli salariali sono soprattutto le condizioni economiche».  

«La scuola svizzera dovrebbe ridurre i privilegi»

Meyer e Sacchi non sono gli unici studiosi a porre l’accento sulle diseguaglianze nel sistema scolastico svizzero. Anche tra gli operatori del settore non mancano voci critiche: Giuliana Lamberti, responsabile dell’associazione S.e.s.j., che offre consulenze gratuite relative al sistema scolastico e professionale alle famiglie della Città e del Cantone di Zurigo, è convinta che la selettività sociale sia uno degli aspetti più discutibili del sistema scolastico svizzero: «Da 25 anni lavoro in questo ambito e la situazione è sempre la stessa: a soffrire dal punto di vista scolastico e professionale sono soprattutto bambini e giovani di famiglie della classe lavoratrice, in particolare quelli che provengono da famiglie di origine migrante. La scuola svizzera dovrebbe ridurre i privilegi e non cementarli. Dobbiamo quantomeno allentare le maglie della selettività».

Anche Guglielmo Bozzolini, direttore di Ecap Svizzera, ha le idee chiare a tal proposito: «Il sistema formativo duale ha elementi positivi: valorizza anche le competenze manuali e riduce gli abbandoni scolastici. Il classismo rimane però un grande problema. Non tutti devono andare al liceo e all’università, sarebbe impensabile, però tutti devono essere messi nelle condizioni di poter scegliere il percorso più adatto».

Sistemi scolastici nella Svizzera latina sono meno selettivi

Lo studio sopracitato sottolinea più volte come il discorso sul sistema scolastico svizzero debba tenere conto anche delle differenze cantonali. Nella Svizzera latina i sistemi scolastici sono meno selettivi. Ne è convinto Meyer e anche Furio Bednarz che per anni è stato responsabile della formazione continua per il Canton Ticino: «Nel sistema scolastico ticinese, così come in quello dei cantoni romandi, la selettività esiste, ma è mitigata rispetto alla Svizzera tedesca. Abbiamo un percorso scolastico sostanzialmente unitario fino alle medie. Soltanto alcune materie vengono insegnate in classi separate in base al rendimento».

Secondo Bednarz, però, la riduzione ulteriore della selettività non raccoglie pieni consensi: «La riforma scolastica del socialista Bertoli, che mirava a ridurre ulteriormente la selettività attraverso l’eliminazione dell’insegnamento differenziato di matematica e tedesco, è stata affossata dal voto popolare».

In Ticino, continua Bednarz, «abbiamo ideato strumenti per seguire la persona nella transizione scolastica. Dall’anno scolastico 2014/15 è stato creato l’Istituto della transizione e del sostegno, incaricato di coordinare le misure d’intervento rivolte ad aiutare i giovani più fragili nel passaggio dalla scuola dell'obbligo alla formazione post-obbligatoria».