Carovita su, salari anche

Il rincaro di oggi ha raggiunto livelli mai più visti dagli anni Novanta (Foto: Pixabay/stevepb)

L'inflazione galoppante fa tornare in auge il tema dei meccanismi di adeguamento automatico delle paghe nei contratti collettivi. Uno spettro si aggira per la Svizzera, questo spettro si chiama inflazione. Si tratta di un fenomeno sconosciuto alle più giovani generazioni di lavoratori e sindacalisti, quantomeno ai livelli attuali.

Il rincaro in Svizzera, anche se meno drammatico della media europea (+9,1% in agosto), supera ormai il 3% ed è destinato a salire nei prossimi mesi. Non raggiungeva questi livelli dagli anni Novanta. Per i redditi più bassi, il rincaro è ancora maggiore. Le persone più povere, infatti, concentrano in misura maggiore le proprie spese su prodotti energetici e alimentari, cioè su quei prodotti dei quali difficilmente riusciamo a fare a meno.

Proprio queste due tipologie di merci sono quelle che più sono rincarate. Non deve stupire allora che l’Unione sindacale svizzera abbia chiesto la scorsa settimana aumenti del 4-5% dei salari. Si tratta di una richiesta realistica, visti i buoni risultati dell’economia, e soprattutto di una rivendicazione che vorrebbe evitare che parte della popolazione lavoratrice sprofondi nella povertà.

Questo a fronte anche di premi delle casse malati che rischiano di schizzare alle stelle il prossimo anno (fino al +10%).

Stare al passo

Per i lavoratori di alcuni settori è necessario ottenere aumenti al tavolo delle trattative salariali. Ci sono settori e rami che devono inoltre recuperare i mancati aumenti delle scorse tornate negoziali. Nell’edilizia, ad esempio, è previsto un autunno caldo che potrebbe risolversi anche con azioni di protesta significative.

I lavoratori sono chiamati a votare su questo tema nelle prossime settimane. I lavoratori dell’industria alberghiera e della ristorazione, invece, dopo diverse tornate negoziali, hanno ottenuto quantomeno una compensazione del rincaro e leggeri ritocchi dei salari reali minimi a partire dal 2023.

Ci sono però categorie di dipendenti che hanno la fortuna di essere subordinati a contratti di lavoro collettivi (Ccl) che prevedono adeguamenti automatici dei salari all’inflazione. Nel settore dell’artigianato troviamo una manciata di Ccl con questi tipi di meccanismi, ma l’adeguamento segue l’inflazione entro certi limiti: si passa dall’1% del Ccl degli elettricisti, al 2% del Ccl per il ramo svizzero dell’isolazione.

Per Yannick Egger, membro della direzione del settore Artigianato di Unia, «ora è necessario adeguare questi meccanismi all’inflazione galoppante o quantomeno aumentare i salari oltre il tasso d’inflazione. Il tetto dell’adeguamento dei salari al rincaro andava bene fino a che l’inflazione non ha cominciato a correre. Questo aumento così netto del costo della vita è per noi giovani sindacalisti una novità».

Un salvagente

Per alcuni lavoratori, il contratto prevede invece un adeguamento automatico dei salari all’inflazione senza alcun limite di sorta o con limiti molto più generosi. Questi lavoratori possono in questo momento tirare un sospiro di sollievo, oppure concentrare gli sforzi negoziali sull’aumento dei salari reali oppure ancora su specifiche condizioni di lavoro che vanno al di là del salario.

È il caso degli architetti e degli ingegneri vodesi che vedono i propri salari minimi aumentare di pari passo all’inflazione fino a che questa non superi il 5%. Questo adeguamento dei salari minimi, come detto, dovrebbe fare da traino per tutti gli altri livelli salariali o comunque aiutare in fase di contrattazione.

Anche singoli contratti aziendali sono da questo punto di vista virtuosi: quello della Metron Ag (architettura e urbanistica), con adeguamenti automatici di tutti i salari senza alcun limite, quello della Cilag Ag (farmaceutica) o quello della Stadler Ag (Industria Mem), con adeguamenti salariali in linea con l’inflazione, ma legati anche all’andamento economico dell’azienda.

Metalmeccanici

I lavoratori dell’industria Mem in questo momento non se la passano affatto male. Nel 2018 è stato infatti firmato un Ccl che prevede l’adeguamento dei salari minimi all’inflazione senza alcun limite di sorta. Se permarranno i livelli di rincaro odierni anche a fine ottobre (intorno al 3,5%), nel 2023 si verificheranno degli aumenti per il personale non qualificato e qualificato che vanno dai 129 Chf ai 164 Chf mensili in base alla regione d’appartenenza.

Con tali aumenti dei salari minimi, a detta di Matteo Pronzini, Responsabile per Unia del ramo Mem, «le commissioni del personale avranno gioco facile a chiedere aumenti significativi anche per le altre categorie salariali». Per questo motivo, sempre secondo Pronzini, «è importante sostenere le commissioni del personale nelle trattative aziendali.

A tal fine come settore organizziamo dei seminari appositi che servono proprio per ottenere il meglio dai negoziati con le dirigenze aziendali». Proprio le commissioni del personale Mem, interpellate recentemente dal settore industria di Unia tramite un sondaggio, hanno indicato come priorità assoluta l’adeguamento di tutti i salari reali all’inflazione.

La discussione in tal merito potrebbe coinvolgere altri settori e in tal senso sarebbe opportuno rispolverare un po’ di memoria storica sindacale: un tempo l’adeguamento dei salari all’inflazione era prevista, per iscritto o come prassi negoziale consolidata, in molti rami professionali.

Come ricorda Andreas Rieger, ex Presidente di Unia, «gli anni Ottanta e Novanta hanno segnato una cesura: le teorie neoliberiste sono diventate egemoni e i sindacati non sono più riusciti a mantenere molti automatismi. Negli anni successivi l’inflazione molto bassa non ha fatto emergere il problema. Oggi la situazione è però diversa ed è auspicabile tornare a parlare di tali meccanismi nei contratti collettivi per proteggere il potere d’acquisto».